La foto ritrae gli attori del Collettivo Teatraperto, hanno fatto un’esibizione di quasi mezz’ora sulla Piazza davanti alla Cattedrale di Trani. Lo spettacolo era una versione ridottissima ovviamente del Macbeth di Shakespeare. Inizialmente mi sono avvicinato alla loro performance con circospezione, con l’idea che fossero tre sbalestrati e quasi disadattati e che sicuramente la loro esibizione avrebbe sfiorato il ridicolo. Infatti avevo anche attivato una diretta FB per condividerla scherzosamente con gli amici. Devo dire che sono stato clamorosamente smentito: mano a mano che la rappresentazione andava avanti sono riusciti a coinvolgermi e a conquistarmi, tanto è vero che gli ultimi minuti ho chiuso il video e mi sono messo a seguirli, osservando le reazioni del pubblico , sparuto ad onor del vero, presente. I bambini in particolare erano catturati dalla loro narrazione, dal racconto che sprigionava e dall’energia fisica e da quella animistica-spirituale, unita ad un sapiente uso della voce specie nel capocomico-“narrattore”, ma non di meno nei due coprotagonisti. Ad un tratto un bambino veniva portato via a forza da suo padre e ho provato un moto di tristezza misto a rabbia, avrei voluto gridargli: perché vuoi privarlo di questa magia, della poesia che vuole respirare, non capisci che vuole conoscere il mondo senza i paraocchi in cui spesso costringiamo i più piccoli? Un’altra ragazza stava sul muretto e si ritraeva in pose-selfie odiose mentre davanti a lei prendeva vita un teatro d’altri tempi. Avrei quasi desiderato che cadesse in mare per quanto vuoto, banale, inutile e mi era sembrato il suo gesto. Alla fine dopo l’esibizione hanno chiesto garbatamente un contributo a tutti e dopo averglielo dato mi sono avvicinato loro complimentandomi per il coraggio, per la determinazione nel perseguire questa modalità performativa che coincide con una scelta di vita che io ho detto non avrei la forza di intraprendere, essendo così stretto alle comodità, agli agi e alla “sicurezza” di un altra impostazione e artistica e di vita. Mi hanno chiesto chi fossi, gli ho spiegato che anche io ero un attore e che ruolo svolgevo, mi hanno ringraziato perché l’apprezzamento veniva da un professionista-collega. Ho letto nei loro occhi la speranza, l’orgoglio, e forse peccando io di presunzione, l’idea che attraverso quegli apprezzamenti la via che hanno deciso di percorrere non è così sbagliata. Loro mi sono sembrati liberi e io mi sono sentito vivo.
*Articolo ispirato da un incontro a Trani Domenica 7 Agosto