Chiude una libreria storica o chiude un franchising moderno?

Prendo spunto da un fatto di cronaca locale cercando poi di allargare il discorso allo stato generale delle librerie, dei lettori e della lettura. Parto da alcune domande:
  • Chiude La Libreria dei Sette, che prese il testimone da quella storica dei Fusari e che per molti nel tempo è diventata un polo culturale, il centro principale di scoperta, di novità editoriali, di incontro e incontri letterari?
  • Chiude, o meglio, viene chiuso un franchising Mondadori che, come qualsiasi altra attività commerciale, guarda al fatturato, al mercato e a far semplicemente, ma giustamente, quadrare i conti?
  • Sono costretti a chiudere dei librai che svolgono il loro lavoro con passione, dedizione, impegno sul campo, per offrire anche un servizio al cliente con suggerimenti, consigli e altro?
  • O chiudono gli imprenditori, che necessariamente vedono nel libro un bene, un oggetto come lo sono le scarpe, la frutta, o un elettrodomestico?
  • Chiude una libreria che era meta quotidiana di veri e propri divoratori compulsivi di libri, i cosiddetti lettori forti, perché lì trovavano quasi sempre il testo che cercavano, dalla poesia, alla filosofia, passando per le scienze e la psicologia.
  • O chiude una sorta di supermarket del libro (e non mi riferisco solo alla Libreria dei Sette, ma a tutte le librerie in franchising dalla Mondadori alla Feltrinelli), dove il cliente sceglie il libro in base a quello che certi programmi tv consigliano o a seconda della fama dell’autore, dal cuoco fino all’attore o al calciatore, vedi la biografia di Francesco Totti.
  • Cliente che entra in libreria solo in quell’occasione e casomai in un’altra simile l’anno successivo. Sugli scaffali il libri durano quanto le uova, sono edizioni fresche di giornata, se va bene e se il libro è un best seller o se ha fatto parecchi passaggi televisivi lo trovi per qualche mese poi sparisce, a meno che non diventino libri virali, perché di un personaggio televisivo o adesso in modo ancora più sorprendente se di uno youtuber.
  • Oggi se desideri acquistare un libro che non sia una novità e che non abbia superato i sei mesi di vita, eccezion fatta per i classici, e lo vuoi avere in tempi rapidi, lo devi per forza di cose acquistare on line: Amazon, IBS, bookdepository ecc. o anche presso gli stessi editori che anche se con qualche lungaggine in più però ormai si sono attrezzati con la vendita on line.
  • Per non parlare poi dello sconto del 15 per cento su tutti i cataloghi, che per chi acquista molti libri all’anno alla fine fa la differenza. In questo le librerie hanno provato ad adeguarsi applicando lo sconto del 15% cercando di fidelizzare il cliente con la tessere, anche se questo era utilizzabile solo sulle ultime novità con un eventuale buono sconto che si accumulava in base agli acquisti.
  • Ecco, credo che una libreria che si basi solo sulle “grandi” ,che di grande hanno solo la campagna pubblicitaria che li supporta, e roboanti ,che di roboante hanno solo il nome dell’autore che spesso non è il vero autore, tanti avvalendosi di ghost-writer.
  • Dicevo dunque che una libreria che si basi sulle grandi e roboanti edizioni abbia perso lentamente, ma inesorabilmente, chi frequentava la libreria ogni giorno e ne usciva minimo con un volume sottobraccio, quando andava male, portando alla fine dell’anno nelle casse diverse centinaia se non migliaia di euro fissi, regolarmente e non una tantum come fa il cliente che entra il libreria come si va dal dentista, o perché c’è il natale, o c’è da comprare il libro del personaggio famoso di turno.
  • Non voglio dire che quelli non siano clienti e non siano da prendere in considerazione, per carità, ma sono i clienti che spesso acquistano non per un prodotto specifico o in modo continuo, ripeto, ma sull’onda del momento. Un’attività commerciale, qualunque essa sia, deve poter contare su uno zoccolo duro che gli garantistica introiti sicuri e certi durante tutto l’arco dell’anno.
  • A lungo andare credo che questo abbia ha fatto la differenza: selezionando al ribasso i titoli, sia quantitativamente che qualitativamente, si è cominciato ad allontanare quelli che con un flusso continuo e omogeneo frequentavano la libreria e conseguentemente davano linfa alle casse come una sorta di salvadanaio.
  • Questi hanno incominciato a rivolgersi alle librerie on- line non tanto perché trovavano prezzi vantaggiosi, ma soprattutto perché trovavano testi che in libreria ormai non ci stavano più, e non sarebbero nemmeno più arrivati. E non è nemmeno vero che il lettore elettronico abbia soppiantato il libro cartaceo, perché il lettore forte e amante del libro è anche una sorta di collezionista, sfiora il feticismo. Il libro deve essere presente fisicamente, con le sue copertine colorate, con la sua costola, con nome e titolo deve respirare in mezzo alle altre anime di carta che popolano la sua biblioteca.
  • Perché se anche i libri possono deteriorarsi, sbiadire, e anche bruciare come ci insegna amaramente Fahrenheit 451, ogni libro rappresenta il suo autore, cosa che non potrebbe fare un freddo e impersonale e-reader dove tutti gli autori in modo impersonale vengono rinchiusi.

È LA SATIRA, BELLEZZA!

  • Da tempo ormai mi diletto a scrivere e pubblicare battute comiche o satiriche; devo ammettere che queste ultime mi divertono e forse mi riescono un po’ meglio, tanto è vero che da un paio d’anni collaboro con pagine importanti che si occupano proprio di satira.
    Vorrei perciò fare una riflessione su cosa è, o perlomeno cosa sia per me, una battuta, di satira in special modo.
  • Parto dal presupposto che la battuta in genere non debba riflettere necessariamente il reale pensiero, o lo stato d’animo, di chi la formula, o almeno non quello che al momento genera il lazzo, anche se ovviamente si poggia su un sentire che caratterizza in quel preciso istante la “creazione” e si basa sul background dell’autore, culturale, politico, ecc ecc.
  • A volte si fanno battute, perché si è semplicemente avuta un’intuizione, che non per forza di cose ha anche un appiglio reale, anzi spesso si lavora sulle associazioni o di idee o di parole o di immagini. Le battute diventano meta-metafore, che nascono da situazioni anche lontane fra loro, ma che, messe a confronto o accostate, si incontrano su un terzo terreno, che è quello di una nuova realtà, che si crea in questo avvicinamento: spesso questa nuova realtà non ha nulla in comune con quella di partenza, ma trova un nuovo significato in un significante che si crea ex novo.
  • Per venire invece più precisamente alla Satira, quella caustica, graffiante, cattiva o trasversale, senza padroni o senza legami con uno schieramento o con un altro, questa non ha l’obbligo di far ridere, ma in realtà dovrebbe far riflettere, anche indignare, spiazzare, portarci in un’altra dimensione, che può sembrare a prima vista surreale, ma mai surrettizia, perché, più che nascondere un fatto, lo rivela in tutta la sua nudità e crudezza, o se vogliamo naturalezza.
  • La satira spesso può generare anche ribrezzo, schifo e obbrobrio, mentre la battuta di per sé eminentemente comica genera la risata che a volte risulta essere terapeutica e lenitiva, ovvero ammorbidisce, stempera la notizia, che magari era già in sé dura da digerire: in qualche modo la rende anche accettabile.
  • È per questo che i grandi della storia, se realmente intelligenti o meglio furbi e scaltri, lasciavano che il popolo ridesse di loro.
  • Un esempio lampante è Andreotti, che mai si è preso la briga di fustigare o riprendere chi lo satireggiava. La satira prova a far vedere le cose da un angolo visuale diverso, le distorce anche, le riflette in uno specchio increspato: non deve quindi darci per forza l’immagine nitida, precisa e pulita, anzi la rende sporca, come a dirci “Questa che stai guardando non è la realtà, ma una tua interpretazione”, e si sa, le interpretazioni sono sempre e soltanto soggettive, sottostanno alle esperienze, al modo di affrontare la realtà che ognuno di noi vive in base al proprio vissuto, che raramente coincide con quello di un altro.
  • Alla satira si chiede di essere sempre trasversale, ma quando ci colpisce direttamente, la si accusa di essere poco obiettiva e faziosa. 

La Cultura sarà il futuro del paese, se…

Il G7 della cultura di Firenze dimostra che l’Italia è in prima linea nella salvaguardia del patrimonio culturale materiale.

  • Non potrebbe essere altrimenti, data la grandissima concentrazione di monumenti, siti archeologici e beni architettonici di cui è ricca, forse la più alta e importante al mondo.
  • Bene quindi la tutela e soprattutto la valorizzazione di quella che può essere considerata la più importante “industria” italiana.
  • Bene anche la difesa dalle calamità e dal terrorismo.
  • Insomma tutto bene madama la marchesa, ma della tutela e salvaguardia delle professioni immateriali legate alla cultura, comprese quelle artistiche, quando si incomincerà a discutere?
  • La cultura sarà il futuro di questo paese, se si terrà conto anche di queste. Quando si lanceranno segnali forti e chiari che dietro e oltre le pietre c’è tutto un variegato mondo fatto di performer dello spettacolo dal vivo e di professionisti che hanno bisogno di essere tutelati e valorizzati quanto le cose e le infrastrutture? In questo ambito e soprattutto a livello politico ci sarebbe necessità di un nuovo umanesimo, nel quale la persona ritorni al centro di ogni ragionamento.
  • La cultura sarà il futuro di questo paese, se ci si occuperà e preoccuperà delle minoranze che vivono alle propaggini più remote dello sfavillante mondo dello Showbiz.
  • Si è detto, o perlomeno si dirà nei futuri incontri, delle questioni fiscali non chiare e definite di questo settore che riguarda purtroppo solo una fetta esigua della popolazione? E ci si è espressi sulla necessità che i professionisti sono da considerarsi tali in questo settore come in tanti altri e che proporgli di esibirsi gratis nei musei sfiora l’immoralità?
  • La Cultura sarà il futuro di questo paese, se tutti avranno pari dignità, stesse tutele o addirittura adeguate e mirate al settore d’intervento.

Mi auguro che da questo importante patto siglato a Firenze nasca il successivo desiderio e impegno di occuparsi anche di chi con la cultura ci vive, ci mangia (ma non solo a livelli eclatanti, c’è tutto un sottobosco lontano dalle luci della TV e del cinema e perfino di un certo teatro che deve essere protetto) e prova a rendere spiritualmente migliore il paese in cui ha deciso di restare e lottare anche e soprattutto per il futuro delle nuove generazioni.

Gianluca Foresi

L’improvvisazione

Che cos’è l’improvvisazione? Il suo significato è contenuto nella parola stessa: è un’azione improvvisa, inattesa, ma che è in attesa di un accadimento, inaspettata, non pensata né dallo spettatore tanto meno dall’attore.
Come diceva Cartesio, “Cogito ergo sum”. Penso dunque sono. nell’improvvisazione viene meno questo famoso assunto. Sì perché l’improvviso attore l’intrattenitore non pensa ma crea sul momento e adatta la sua performance alle esigenze del luogo ma soprattutto del pubblico interlocutore che diventa prot-agonista assoluto del suo canovaccio. E con lui anche i suoi difetti, le sue particolarità che si trasformano in un sottile quanto sagace gioco di doppi sensi e battute ironiche. Quanto l’attore si lascia imbrigliare dall’arte dell’improvvisazione, infatti, diventa Personaggio, perso nell’ingranaggio del libero fluire del discorso, è attraversato dalle parole, e vi passa attraVerso lasciandosi possedere dal linguaggio. Ed è in questo stesso ingranaggio che poi, inevitabilmente, finisce per cadere anche chi, nei suoi versi, ritrova se stesso.

Questo accade specie all’improvvisatore in versi, in rima. Chi utilizza la rima, rima-nda sempre a qualcosa d ‘altro e di alto, compie un salto, un salto-verbale, vola sul verbo. Per lui è più vero il verba volant che lo scripta manent.
E la parola si fa nota, e dunque diventa musica, canta e incanta, ma allo stesso tempo non si rende nota rimane celata, si nasconde nell’ istante esatto in cui si palesa, dalla parola successiva perché ha successo ed è successa e così diventa il visibile dell’invisibile per dirla con Merlau Ponty.
L’improvvisatore dicevamo, paradossalmente, non pensa, ma riflette o meglio riflette se stesso, si specchia nello spettatore. E nello specchio, si sa, assistiamo ad un rovesciamento dell’immagine, quì lo spettatore vive un ribaltamento, uno scambio di ruoli, colui che vedeva e ascoltava adesso è visto e ascoltato, diventa protagonista. Cercando l’appoggio, la collaborazione, dell’auditore l’improvvisatore ne rapisce l’attenzione, e ne capisce le intenzioni, creando una tenzone dialogica, ma possibilmente non dialettica, non c’è scontro ma in-contro, l’improvvisatore in rima va VERSO il suo pubblico rendendolo privato, senza però privarlo della propria individualità ed identità. L’improvvisazione cosi intesa diventa l’Arte di mescolare, miscelare, unire, una sorta di moderna alchimia dove nel crogiuolo dei senza palco moderni, come i giullari erano i senza terra\palco di un tempo, si fondono le doti istrioniche, l’abilità teatrale, la comicità pungente, la cultura profonda , la rapidità cerebrale, il guizzo inaspettato, la sagacia buffonesca, l’intelligenza acuta, e la psicologia raffinata, creando uno spettacolo vivo, mai ripetitivo, che di volta in volta rinasce come la Fenice, ma non dalle proprie ceneri, bensì dalle scintille zampillanti della lingua italiana. Quella lingua resa immortale da geni come Dante, Boccaccio Petracra, Leopardi, Manzoni Montale, Ungaretti Gadda, e ai nostri giorni, Caproni, Pasolini Benigni, Riondino, Bergonzoni, Eco. Anche l’improvvisatore cerca di entrare im punta di piedi , o meglio in punta di lingua e profonda umiltà, in questo Uni-Verso.

*Una Grande Lezione di VITARTE

La foto ritrae gli attori del Collettivo Teatraperto, hanno fatto un’esibizione di quasi mezz’ora sulla Piazza davanti alla Cattedrale di Trani. Lo spettacolo era una versione ridottissima ovviamente del Macbeth di Shakespeare. Inizialmente mi sono avvicinato alla loro performance con circospezione, con l’idea che fossero tre sbalestrati e quasi disadattati e che sicuramente la loro esibizione avrebbe sfiorato il ridicolo. Infatti avevo anche attivato una diretta FB per condividerla scherzosamente con gli amici. Devo dire che sono stato clamorosamente smentito: mano a mano che la rappresentazione andava avanti sono riusciti a coinvolgermi e a conquistarmi, tanto è vero che gli ultimi minuti ho chiuso il video e mi sono messo a seguirli, osservando le reazioni del pubblico , sparuto ad onor del vero, presente. I bambini in particolare erano catturati dalla loro narrazione, dal racconto che sprigionava e dall’energia fisica e da quella animistica-spirituale, unita ad un sapiente uso della voce specie nel capocomico-“narrattore”, ma non di meno nei due coprotagonisti. Ad un tratto un bambino veniva portato via a forza da suo padre e ho provato un moto di tristezza misto a rabbia, avrei voluto gridargli: perché vuoi privarlo di questa magia, della poesia che vuole respirare, non capisci che vuole conoscere il mondo senza i paraocchi in cui spesso costringiamo i più piccoli? Un’altra ragazza stava sul muretto e si ritraeva in pose-selfie odiose mentre davanti a lei prendeva vita un teatro d’altri tempi. Avrei quasi desiderato che cadesse in mare per quanto vuoto, banale, inutile e mi era sembrato il suo gesto. Alla fine dopo l’esibizione hanno chiesto garbatamente un contributo a tutti e dopo averglielo dato mi sono avvicinato loro complimentandomi per il coraggio, per la determinazione nel perseguire questa modalità performativa che coincide con una scelta di vita che io ho detto non avrei la forza di intraprendere, essendo così stretto alle comodità, agli agi e alla “sicurezza” di un altra impostazione e artistica e di vita. Mi hanno chiesto chi fossi, gli ho spiegato che anche io ero un attore e che ruolo svolgevo, mi hanno ringraziato perché l’apprezzamento veniva da un professionista-collega. Ho letto nei loro occhi la speranza, l’orgoglio, e forse peccando io di presunzione, l’idea che attraverso quegli apprezzamenti la via che hanno deciso di percorrere non è così sbagliata. Loro mi sono sembrati liberi e io mi sono sentito vivo.
*Articolo ispirato da un incontro a Trani Domenica 7 Agosto