Chiude una libreria storica o chiude un franchising moderno?

Prendo spunto da un fatto di cronaca locale cercando poi di allargare il discorso allo stato generale delle librerie, dei lettori e della lettura. Parto da alcune domande:
  • Chiude La Libreria dei Sette, che prese il testimone da quella storica dei Fusari e che per molti nel tempo è diventata un polo culturale, il centro principale di scoperta, di novità editoriali, di incontro e incontri letterari?
  • Chiude, o meglio, viene chiuso un franchising Mondadori che, come qualsiasi altra attività commerciale, guarda al fatturato, al mercato e a far semplicemente, ma giustamente, quadrare i conti?
  • Sono costretti a chiudere dei librai che svolgono il loro lavoro con passione, dedizione, impegno sul campo, per offrire anche un servizio al cliente con suggerimenti, consigli e altro?
  • O chiudono gli imprenditori, che necessariamente vedono nel libro un bene, un oggetto come lo sono le scarpe, la frutta, o un elettrodomestico?
  • Chiude una libreria che era meta quotidiana di veri e propri divoratori compulsivi di libri, i cosiddetti lettori forti, perché lì trovavano quasi sempre il testo che cercavano, dalla poesia, alla filosofia, passando per le scienze e la psicologia.
  • O chiude una sorta di supermarket del libro (e non mi riferisco solo alla Libreria dei Sette, ma a tutte le librerie in franchising dalla Mondadori alla Feltrinelli), dove il cliente sceglie il libro in base a quello che certi programmi tv consigliano o a seconda della fama dell’autore, dal cuoco fino all’attore o al calciatore, vedi la biografia di Francesco Totti.
  • Cliente che entra in libreria solo in quell’occasione e casomai in un’altra simile l’anno successivo. Sugli scaffali il libri durano quanto le uova, sono edizioni fresche di giornata, se va bene e se il libro è un best seller o se ha fatto parecchi passaggi televisivi lo trovi per qualche mese poi sparisce, a meno che non diventino libri virali, perché di un personaggio televisivo o adesso in modo ancora più sorprendente se di uno youtuber.
  • Oggi se desideri acquistare un libro che non sia una novità e che non abbia superato i sei mesi di vita, eccezion fatta per i classici, e lo vuoi avere in tempi rapidi, lo devi per forza di cose acquistare on line: Amazon, IBS, bookdepository ecc. o anche presso gli stessi editori che anche se con qualche lungaggine in più però ormai si sono attrezzati con la vendita on line.
  • Per non parlare poi dello sconto del 15 per cento su tutti i cataloghi, che per chi acquista molti libri all’anno alla fine fa la differenza. In questo le librerie hanno provato ad adeguarsi applicando lo sconto del 15% cercando di fidelizzare il cliente con la tessere, anche se questo era utilizzabile solo sulle ultime novità con un eventuale buono sconto che si accumulava in base agli acquisti.
  • Ecco, credo che una libreria che si basi solo sulle “grandi” ,che di grande hanno solo la campagna pubblicitaria che li supporta, e roboanti ,che di roboante hanno solo il nome dell’autore che spesso non è il vero autore, tanti avvalendosi di ghost-writer.
  • Dicevo dunque che una libreria che si basi sulle grandi e roboanti edizioni abbia perso lentamente, ma inesorabilmente, chi frequentava la libreria ogni giorno e ne usciva minimo con un volume sottobraccio, quando andava male, portando alla fine dell’anno nelle casse diverse centinaia se non migliaia di euro fissi, regolarmente e non una tantum come fa il cliente che entra il libreria come si va dal dentista, o perché c’è il natale, o c’è da comprare il libro del personaggio famoso di turno.
  • Non voglio dire che quelli non siano clienti e non siano da prendere in considerazione, per carità, ma sono i clienti che spesso acquistano non per un prodotto specifico o in modo continuo, ripeto, ma sull’onda del momento. Un’attività commerciale, qualunque essa sia, deve poter contare su uno zoccolo duro che gli garantistica introiti sicuri e certi durante tutto l’arco dell’anno.
  • A lungo andare credo che questo abbia ha fatto la differenza: selezionando al ribasso i titoli, sia quantitativamente che qualitativamente, si è cominciato ad allontanare quelli che con un flusso continuo e omogeneo frequentavano la libreria e conseguentemente davano linfa alle casse come una sorta di salvadanaio.
  • Questi hanno incominciato a rivolgersi alle librerie on- line non tanto perché trovavano prezzi vantaggiosi, ma soprattutto perché trovavano testi che in libreria ormai non ci stavano più, e non sarebbero nemmeno più arrivati. E non è nemmeno vero che il lettore elettronico abbia soppiantato il libro cartaceo, perché il lettore forte e amante del libro è anche una sorta di collezionista, sfiora il feticismo. Il libro deve essere presente fisicamente, con le sue copertine colorate, con la sua costola, con nome e titolo deve respirare in mezzo alle altre anime di carta che popolano la sua biblioteca.
  • Perché se anche i libri possono deteriorarsi, sbiadire, e anche bruciare come ci insegna amaramente Fahrenheit 451, ogni libro rappresenta il suo autore, cosa che non potrebbe fare un freddo e impersonale e-reader dove tutti gli autori in modo impersonale vengono rinchiusi.

LA TUTELA DEL PRODOTTO INTELLETTUALE

  • Prendo spunto dalla riflessione di un mio amico su FaceBook sulla legalità e in particolare sul divieto di vendita e acquisto di prodotti contraffatti o (rubati?) sulle spiagge.
  • Qui non interessa tanto parlare di migranti, vu cumprà e simili o solo di quella merce che danneggia a vario titolo i commercianti, ma prendere l’avvio per fare un ragionamento su un ambito apparentemente diverso, ma che a mio avviso corre, se non sullo stesso binario, almeno su quello immediatamente accanto.
  • È una riflessione che può interessare tutti quelli che vivono del prodotto del proprio intelletto: artisti, autori, giornalisti, creativi, ecc ecc. Occorre ripensare, in Italia, tutto il sistema intorno a ciò che è legale e ciò che non lo è.
  • Il problema dunque non si pone solo per i commercianti o altre categorie similari e non riguarda solo la contraffazione o la vendita abusiva o meno di merce, ma anche per quei soggetti che, vivendo del loro prodotto intellettuale, autorale, artistico e creativo, a vari livelli, in Italia non sono per nulla, o poco più, tutelati (la SIAE è utile solo ai cosiddetti grandi nomi, per il resto non tutela molto, perchè in Italia non c’è una vera e propria legge che stabilisca una volta per tutti i confini chiari e invalicabili di cosa sia di proprietà, quando si tratta di prodotto creativo, e a chi appartenga; è tutto lasciato in mano alle interpretazioni degli avvocati).
  • Non sarebbe legale scaricare video e musica su YouTube ma lo si fa, non sarebbe legale copiare battute o frasi e usarle sia a titolo personale per riproporle “simpaticamente” sul proprio profilo o usarle per monologhi comici realizzati da artisti, che ci guadagnano fior di quattrini, usandole poi senza nemmeno citare la fonte, ma lo fanno.
  • Non sarebbe legale mandare in onda immagini senza il consenso di chi viene ripreso, ma Facebook e i vari social rompono continuamente questa regola e vengono immortalate milioni di persone che nemmeno sanno di essere state riprese o fotografate.
  • Non sarebbe legale usare una foto senza dichiarare la provenienza o perlomeno metterci la didascalia dell’autore, ma lo fanno.
  • La legalità sembra sempre e solo riguardare l’appropriazione indebita di cose, merci, e attività tangibili , ma invece questa si nasconde anche tra le pieghe di quei gesti quotidiani di chi si appropria di prodotti all’apparenza impalpabili e che sono difficili da definire, e che lo fa una apparente innocenza o ad arte per lucrarci. Tali “oggetti” ideali andrebbero comunque presi in considerazione e catalogati come reali e portati all’attenzione di chi dovrà legiferare se si vuole che nessuna categoria e nessun comparto siano esclusi dal controllo capillare o perlomeno da una super-visione più ad ampio spettro.
  • Insomma credo che occorra un cambio prima di tutto culturale e ripensare ciò che è il prodotto della mente: la produzione e l’utilizzo delle idee. L’immateriale dovrebbe assurgere a “prodotto” e diventare oggetto semi-artigianale così da poterne meglio definire il valore, l’uso e l’applicabilità, senza però essere reificato e di conseguenza entrare nella catena industriale della semplice riproducibilità tecnica. L’Italia più che ripartire dall’industria, cosi come è stata fino ad ora proposta, penso a quella ‘automobilistica, siderurgica o pesante, si dovrebbe proiettare verso lo sviluppo di quella leggera, in-forme, che mette In Forme il pensiero, che è infinito, ecologico e che si autoalimenta. È un’energia rinnovabile. Un motore instancabile di progresso e opportunità soprattutto per il presente, non solo per il futuro.
  • È dunque dando valore e diritto alla cultura delle idee e le idee della cultura e delle Culture e della creatività che potrebbero ridare credibilità, nuovo sviluppo e nuove opportunità lavorative ad un popolo che invece di aprirsi, di liberare energie positive, si sta di nuovo chiudendo e imprigionando in schemi cultural-antropologici che potrebbero pericolosoamente riportarlo all’età della pietra o al massimo a quelle età del ferro o di una qualsiasi altra “lega”.

È LA SATIRA, BELLEZZA!

  • Da tempo ormai mi diletto a scrivere e pubblicare battute comiche o satiriche; devo ammettere che queste ultime mi divertono e forse mi riescono un po’ meglio, tanto è vero che da un paio d’anni collaboro con pagine importanti che si occupano proprio di satira.
    Vorrei perciò fare una riflessione su cosa è, o perlomeno cosa sia per me, una battuta, di satira in special modo.
  • Parto dal presupposto che la battuta in genere non debba riflettere necessariamente il reale pensiero, o lo stato d’animo, di chi la formula, o almeno non quello che al momento genera il lazzo, anche se ovviamente si poggia su un sentire che caratterizza in quel preciso istante la “creazione” e si basa sul background dell’autore, culturale, politico, ecc ecc.
  • A volte si fanno battute, perché si è semplicemente avuta un’intuizione, che non per forza di cose ha anche un appiglio reale, anzi spesso si lavora sulle associazioni o di idee o di parole o di immagini. Le battute diventano meta-metafore, che nascono da situazioni anche lontane fra loro, ma che, messe a confronto o accostate, si incontrano su un terzo terreno, che è quello di una nuova realtà, che si crea in questo avvicinamento: spesso questa nuova realtà non ha nulla in comune con quella di partenza, ma trova un nuovo significato in un significante che si crea ex novo.
  • Per venire invece più precisamente alla Satira, quella caustica, graffiante, cattiva o trasversale, senza padroni o senza legami con uno schieramento o con un altro, questa non ha l’obbligo di far ridere, ma in realtà dovrebbe far riflettere, anche indignare, spiazzare, portarci in un’altra dimensione, che può sembrare a prima vista surreale, ma mai surrettizia, perché, più che nascondere un fatto, lo rivela in tutta la sua nudità e crudezza, o se vogliamo naturalezza.
  • La satira spesso può generare anche ribrezzo, schifo e obbrobrio, mentre la battuta di per sé eminentemente comica genera la risata che a volte risulta essere terapeutica e lenitiva, ovvero ammorbidisce, stempera la notizia, che magari era già in sé dura da digerire: in qualche modo la rende anche accettabile.
  • È per questo che i grandi della storia, se realmente intelligenti o meglio furbi e scaltri, lasciavano che il popolo ridesse di loro.
  • Un esempio lampante è Andreotti, che mai si è preso la briga di fustigare o riprendere chi lo satireggiava. La satira prova a far vedere le cose da un angolo visuale diverso, le distorce anche, le riflette in uno specchio increspato: non deve quindi darci per forza l’immagine nitida, precisa e pulita, anzi la rende sporca, come a dirci “Questa che stai guardando non è la realtà, ma una tua interpretazione”, e si sa, le interpretazioni sono sempre e soltanto soggettive, sottostanno alle esperienze, al modo di affrontare la realtà che ognuno di noi vive in base al proprio vissuto, che raramente coincide con quello di un altro.
  • Alla satira si chiede di essere sempre trasversale, ma quando ci colpisce direttamente, la si accusa di essere poco obiettiva e faziosa. 

La Circolare ( Gabrielli) che non fa circolare.

  • Ti metti a leggere la così detta circolare Gabrielli che, uscita in seguito agli incidenti di Torino dello scorso giugno, dove purtroppo perse la vita una giovane ragazza, detta le nuove regole e norme per l’organizzazione di manifestazioni pubbliche.
  • Scorri tutta la serie pressoché infinita e rigida delle condizioni, giuste e condivisibile in parte, per carità, da osservare e da mettere in pratica per la salvaguardia in primis del pubblico, degli organizzatori e degli operatori tutti, ma che con molta probabilità renderà difficile se non quasi impossibile, dati anche i costi elevati e l’asfissiante osservanza di tutti i punti che il Piano Sicurezza richiede, la realizzazione di una qualsivoglia manifestazione pubblica.
  • Ora molti saranno anche felici che alcune di queste non avranno luogo, ma io mi chiedo: “quanti problemi e quante vittime hanno fatto eventi aperti al pubblico in tutti questi anni che vanno, diciamo per semplificare, da dopo la Seconda Guerra Mondiale a Oggi da giustificare un così alto dispiego di cavilli, vademecum, comandamenti, obblighi? Una, due, tre , quattro, a memoria d’uomo credo non molte di più. Ma è certo che anche una sola di queste doveva e poteva essere evitata. Non conta il numero quando hai a che fare con una vita. Punto. 
  • E dire però che la realizzazione di questi si basava sull’osservanza minima di norme si scritte, ma anche sul buonsenso degli organizzatori stessi. 
    Ora invece ci sarebbe da chiedersi ( magari usando un parallelo e accostamento per alcuni bizzarro ma che voglio provare a fare) quante vittime di Stato o morti sul lavoro, dove oltre a quella diretta si può rintracciare anche una responsabilità indiretta dello stesso stato, ci siano state state rispetto invece a questo tipo di eventi pubblici e popolari. 
  • Credo che si possano contare a centinaia se non anzi sicuramente a migliaia. Penso alla recente tragedia ferroviaria di Ruvo e alla recentissima di Pioltello, alla “sciagura” aerea di Ustica, ai terribili fatti legati allo sfruttamento selvaggio del territorio, penso al Vajont, al Frejus, ai vari terremoti: Friuli, Irpinia, Umbria , Marche e Abruzzo. 
  • La mente poi va alla famosa stagione della strategia tensione legate al terrorismo ( rosso o nero qui non conta) dove lo Stato ha avuto sicuramente una sua ampia fetta di responsabilità se non di colpa. L’elenco potrebbe essere molto molto più lungo, ma mi fermo qui per rispetto a chi è voluto arrivare a leggere tutto questo mio sproloquio. Ebbene cosa lo Stato ha fatto, quali regole o norme ferree si è dato per evitare il ritorno di questi immani disastri? Non lo so. Spero loro lo sappiano però. 
  • Dico, per chiudere, che bisognerà sicuramente rispettare la circolare sin nei minimi dettagli e fare di tutto per evitare che tragedie come quella di Torino o altre simili avvengano di nuovo, ma bisognerà fare anche di tutto ( e questo spetterà a chi ci governa) ma in maniera più semplice. 
  • La parola d’ordine per quelli che “regneranno” dopo il 4 Marzo dunque sarà semplificazione.
  • Attraverso questa bisognerà fare in modo che l’entusiasmo, la passione e il disinteresse con i quali molti cittadini semplici, e anche professionisti dei vari settori, si mettono all’opera, non venga spento per rispettare in maniera forse eccessiva delle regole, adeguate si, ( che occorrerà magari nell’immediato futuro suddividere e parcellizzare in base al singolo evento) ma che però diventano a lungo andare dei veri e propri collari asfissianti, impedendo in qualche modo lo sviluppo della socializzazione, della cultura e da un versante anche dell’economia del nostro paese.

La Cultura sarà il futuro del paese, se…

Il G7 della cultura di Firenze dimostra che l’Italia è in prima linea nella salvaguardia del patrimonio culturale materiale.

  • Non potrebbe essere altrimenti, data la grandissima concentrazione di monumenti, siti archeologici e beni architettonici di cui è ricca, forse la più alta e importante al mondo.
  • Bene quindi la tutela e soprattutto la valorizzazione di quella che può essere considerata la più importante “industria” italiana.
  • Bene anche la difesa dalle calamità e dal terrorismo.
  • Insomma tutto bene madama la marchesa, ma della tutela e salvaguardia delle professioni immateriali legate alla cultura, comprese quelle artistiche, quando si incomincerà a discutere?
  • La cultura sarà il futuro di questo paese, se si terrà conto anche di queste. Quando si lanceranno segnali forti e chiari che dietro e oltre le pietre c’è tutto un variegato mondo fatto di performer dello spettacolo dal vivo e di professionisti che hanno bisogno di essere tutelati e valorizzati quanto le cose e le infrastrutture? In questo ambito e soprattutto a livello politico ci sarebbe necessità di un nuovo umanesimo, nel quale la persona ritorni al centro di ogni ragionamento.
  • La cultura sarà il futuro di questo paese, se ci si occuperà e preoccuperà delle minoranze che vivono alle propaggini più remote dello sfavillante mondo dello Showbiz.
  • Si è detto, o perlomeno si dirà nei futuri incontri, delle questioni fiscali non chiare e definite di questo settore che riguarda purtroppo solo una fetta esigua della popolazione? E ci si è espressi sulla necessità che i professionisti sono da considerarsi tali in questo settore come in tanti altri e che proporgli di esibirsi gratis nei musei sfiora l’immoralità?
  • La Cultura sarà il futuro di questo paese, se tutti avranno pari dignità, stesse tutele o addirittura adeguate e mirate al settore d’intervento.

Mi auguro che da questo importante patto siglato a Firenze nasca il successivo desiderio e impegno di occuparsi anche di chi con la cultura ci vive, ci mangia (ma non solo a livelli eclatanti, c’è tutto un sottobosco lontano dalle luci della TV e del cinema e perfino di un certo teatro che deve essere protetto) e prova a rendere spiritualmente migliore il paese in cui ha deciso di restare e lottare anche e soprattutto per il futuro delle nuove generazioni.

Gianluca Foresi

L’improvvisazione

Che cos’è l’improvvisazione? Il suo significato è contenuto nella parola stessa: è un’azione improvvisa, inattesa, ma che è in attesa di un accadimento, inaspettata, non pensata né dallo spettatore tanto meno dall’attore.
Come diceva Cartesio, “Cogito ergo sum”. Penso dunque sono. nell’improvvisazione viene meno questo famoso assunto. Sì perché l’improvviso attore l’intrattenitore non pensa ma crea sul momento e adatta la sua performance alle esigenze del luogo ma soprattutto del pubblico interlocutore che diventa prot-agonista assoluto del suo canovaccio. E con lui anche i suoi difetti, le sue particolarità che si trasformano in un sottile quanto sagace gioco di doppi sensi e battute ironiche. Quanto l’attore si lascia imbrigliare dall’arte dell’improvvisazione, infatti, diventa Personaggio, perso nell’ingranaggio del libero fluire del discorso, è attraversato dalle parole, e vi passa attraVerso lasciandosi possedere dal linguaggio. Ed è in questo stesso ingranaggio che poi, inevitabilmente, finisce per cadere anche chi, nei suoi versi, ritrova se stesso.

Questo accade specie all’improvvisatore in versi, in rima. Chi utilizza la rima, rima-nda sempre a qualcosa d ‘altro e di alto, compie un salto, un salto-verbale, vola sul verbo. Per lui è più vero il verba volant che lo scripta manent.
E la parola si fa nota, e dunque diventa musica, canta e incanta, ma allo stesso tempo non si rende nota rimane celata, si nasconde nell’ istante esatto in cui si palesa, dalla parola successiva perché ha successo ed è successa e così diventa il visibile dell’invisibile per dirla con Merlau Ponty.
L’improvvisatore dicevamo, paradossalmente, non pensa, ma riflette o meglio riflette se stesso, si specchia nello spettatore. E nello specchio, si sa, assistiamo ad un rovesciamento dell’immagine, quì lo spettatore vive un ribaltamento, uno scambio di ruoli, colui che vedeva e ascoltava adesso è visto e ascoltato, diventa protagonista. Cercando l’appoggio, la collaborazione, dell’auditore l’improvvisatore ne rapisce l’attenzione, e ne capisce le intenzioni, creando una tenzone dialogica, ma possibilmente non dialettica, non c’è scontro ma in-contro, l’improvvisatore in rima va VERSO il suo pubblico rendendolo privato, senza però privarlo della propria individualità ed identità. L’improvvisazione cosi intesa diventa l’Arte di mescolare, miscelare, unire, una sorta di moderna alchimia dove nel crogiuolo dei senza palco moderni, come i giullari erano i senza terra\palco di un tempo, si fondono le doti istrioniche, l’abilità teatrale, la comicità pungente, la cultura profonda , la rapidità cerebrale, il guizzo inaspettato, la sagacia buffonesca, l’intelligenza acuta, e la psicologia raffinata, creando uno spettacolo vivo, mai ripetitivo, che di volta in volta rinasce come la Fenice, ma non dalle proprie ceneri, bensì dalle scintille zampillanti della lingua italiana. Quella lingua resa immortale da geni come Dante, Boccaccio Petracra, Leopardi, Manzoni Montale, Ungaretti Gadda, e ai nostri giorni, Caproni, Pasolini Benigni, Riondino, Bergonzoni, Eco. Anche l’improvvisatore cerca di entrare im punta di piedi , o meglio in punta di lingua e profonda umiltà, in questo Uni-Verso.

*Una Grande Lezione di VITARTE

La foto ritrae gli attori del Collettivo Teatraperto, hanno fatto un’esibizione di quasi mezz’ora sulla Piazza davanti alla Cattedrale di Trani. Lo spettacolo era una versione ridottissima ovviamente del Macbeth di Shakespeare. Inizialmente mi sono avvicinato alla loro performance con circospezione, con l’idea che fossero tre sbalestrati e quasi disadattati e che sicuramente la loro esibizione avrebbe sfiorato il ridicolo. Infatti avevo anche attivato una diretta FB per condividerla scherzosamente con gli amici. Devo dire che sono stato clamorosamente smentito: mano a mano che la rappresentazione andava avanti sono riusciti a coinvolgermi e a conquistarmi, tanto è vero che gli ultimi minuti ho chiuso il video e mi sono messo a seguirli, osservando le reazioni del pubblico , sparuto ad onor del vero, presente. I bambini in particolare erano catturati dalla loro narrazione, dal racconto che sprigionava e dall’energia fisica e da quella animistica-spirituale, unita ad un sapiente uso della voce specie nel capocomico-“narrattore”, ma non di meno nei due coprotagonisti. Ad un tratto un bambino veniva portato via a forza da suo padre e ho provato un moto di tristezza misto a rabbia, avrei voluto gridargli: perché vuoi privarlo di questa magia, della poesia che vuole respirare, non capisci che vuole conoscere il mondo senza i paraocchi in cui spesso costringiamo i più piccoli? Un’altra ragazza stava sul muretto e si ritraeva in pose-selfie odiose mentre davanti a lei prendeva vita un teatro d’altri tempi. Avrei quasi desiderato che cadesse in mare per quanto vuoto, banale, inutile e mi era sembrato il suo gesto. Alla fine dopo l’esibizione hanno chiesto garbatamente un contributo a tutti e dopo averglielo dato mi sono avvicinato loro complimentandomi per il coraggio, per la determinazione nel perseguire questa modalità performativa che coincide con una scelta di vita che io ho detto non avrei la forza di intraprendere, essendo così stretto alle comodità, agli agi e alla “sicurezza” di un altra impostazione e artistica e di vita. Mi hanno chiesto chi fossi, gli ho spiegato che anche io ero un attore e che ruolo svolgevo, mi hanno ringraziato perché l’apprezzamento veniva da un professionista-collega. Ho letto nei loro occhi la speranza, l’orgoglio, e forse peccando io di presunzione, l’idea che attraverso quegli apprezzamenti la via che hanno deciso di percorrere non è così sbagliata. Loro mi sono sembrati liberi e io mi sono sentito vivo.
*Articolo ispirato da un incontro a Trani Domenica 7 Agosto

Nemo Poeta in Patria

Voi perdonerete se l’articolo non è lineare e diretto, ma il mio pensiero funziona spesso per associazioni linguistiche sonore interne, le associazioni a delinGuere le chiamo, e quindi attraverso queste il pensiero è come quello di un ubriaco che barcolla a destra e a sinistra, per dirla con eleganza Nietzscheana è dionisiaco e non seguirà invece il percorso più netto e preciso delle api quando vanno di fiore in fiore alla ricerca del soddisfacimento pollineo ed è pertanto in contrapposizione al mio Apollineo. Direte ci risiamo con i giochi di parole! Ebbene sì, perchè io da attore sono un uomo di parola:-) Buona lettura e armatevi di tanta pazienza.
La lirica in Italia, non mi riferisco al melodramma, ma alla poesia, al linguaggio poetico o anche semplicemente a quello forbito, ricco di espressioni, dove ogni singola parola è scelta e usata con cura, attenzione, sembra non avere più spazio; avrei voluto aggiungere  “molto”, ma non appena dentro di me ha risuonato quella parola già mi sembrava anacronistica, eh già, quel “Molto” avrebbe presupposto che in passato quello spazio lo avesse avuto.

Quindi mi è parso che aggiungerla fosse stato oltre che inutile, anche  fuori dal tempo; eh già,  la parola “anacronistico” è di per se fuori dal tempo e per quello a cui rimanda e  per la sua intrinseca complessità, e, si sa oggi l’uso di parole e soprattutto di espressioni complesse (attenzione non complicate o contorte!),  è bandito, è visto come il peggiore dei mali,  è come i mercanti cacciati da Gesù… ah no, quelli erano fuori dal tempio (ancora un calembour, ma del resto sono stato tirato su a pane, calembour e marmellata). Perdonatemi se vado di palo in frasca, non sono certo Dante, lui invece andava di Paolo in Francesca.

Anacronistica. Mi sono accorto che non usavo questo termine dal 1997 durante un esame di filosofia: quello di Estetica. Oggi, sebbene fosse un esame che riguardava lo studio del bello, dell’arte e la facoltà del giudizio, alla luce di tutti i tragici eventi sarebbe da rifondare ed essere rinominato esame di “Non-est-etica” più in questo mondo. Ormai la morale sembra non farci più compagnia, e non ce ne preoccupiamo più di tanto o di tanti, poiché possiamo stare più facilmente senza Morale che non senza molare, in questo ci aiutano degli odonto-tecnici, ma per riparare o ripristinare la Morale invece avremmo urgente bisogno di onto-tecnici, quelli che appunto hanno cura dell’essere e di questi ormai non ce ne sono quasi più.

Ecco quindi che senza l’Etica che ci spinge a ragionare, che ci spinge a farci domande, usando parole che non frequentavamo più, facendo risuonare espressioni corpose che sgorgano da un pensiero con una architettura solida, non ci interroghiamo più. Quando perdiamo le parole giuste, quando usiamo un bagaglio limitato anche il nostro modo di definire il nostro pensiero è limitato,  i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo.  Prima lasciavamo che fossero i professori, i maestri a interrogarci (sì, lo so, è l’ennesimo svolazzo linguistico-semantico ), ma con la riforma della scuola di Renzi dove sono finiti? Tutti rasi al “ruolo”.

Allora senza più docenti, ma solo in-docenti, che ambiscono al posto e al pasto fisso, non sappiamo più se il giudizio che noi stessi siamo costretti a darci è piuttosto figlio del pre-giudizio, che è parente sempre del dente dolente; quello del molare, questo del giudizio, e se manca questo più di quello, la lingua batte dove il dente duole, ma per tornare (finalmente, Fore’!) alla LINGUA,  alle PAROLE e alla POESIA, diremo piuttosto che LA LINGUA BATTE DOVE DANTE VUOLE, ma l’Italia sembra non volere più poesia o poeti che rendano giustizia all’estetica del linguaggio e nemmeno santi che impediscano la deriva anestetica del lignaggio (sembra che solo i ricchi abbiano diritti a non provare dolore), ma solo navigatori per orientarsi nel mare inquinato del divertimento fine a se stesso, dell’eccitazione col fine del sesso, e del superfluo accumulo del gentil sesso.  Senza più un giudizio libero e oggettivo avremmo solo “voti” a rendere, dati in cambio di un lavoro o di piccoli o grandi favori, costringendoci così ai favori forzati o al silenzio assenso, dove la parola non ha senso, e anche quella data non ha più un peso, ma vuota si innalza come un palloncino pieno d’aria sfuggito dalle mani di un bambino, che esplode per la troppa pressione. Le  parole come i palloncini sono piene di aria, e una volta pronunciate con la vibrazione delle corde vocali a loro volta fanno vibrare altra aria che è tra noi e un altro essere vivente, e così arrivano a far vibrare il cuore e a farci vivere in concordia (l’etimologia è quella di Cum Cordia: con il cuore) o anche in disarmonia se sono parole piene di astio. Spesso però le parole diventano un filo che ci tiene legati gli uni agli altri e quando il filo diventa un intreccio più spesso, che vuol dire anche più ricco di espressioni, più variegato e quindi bello a sentirsi, allora ecco che l’estetica del parlare darà vita ad una nuova possibile etica, la po-etica, e sebbene si usi un linguaggio più alto, questo ci costringerà ad innalzarci facendoci però sentire essere più vicini e più umani, perché se una cosa abbiamo in più rispetto agli animali è la Parola, soprattutto quella data.

 

 

 

 

 

 

Giro d’Italia storico -Solomeo Rinascimentale-

Continua il mio Giro d’Italia Medievale e Rinascimentale: Nord, Sud, Est, Ovest ed ora Centro. 
Dopo le varie scorribande lungo tutto lo stivale, avendo toccato moltissime regioni italiane, eccomi a riabbracciare l’Umbria: dal 22 Luglio al 31 Luglio sarò a Solomeo.
Un Borgo incantevole, magico, un luogo dell’anima più che della geografia.
Lì, se vorrete farmi compagnia, rivivremo i Fasti ed i Pasti ( adoro i giochi di parole)  del Rinascimento. Del resto una festa non è tale se non è anche accompagnata dal godimento per il palato e dal sollazzo dello stomaco.
Ma oltre ai piaceri per il Palato ci saranno anche quelli per il Pa(r)lato ( è più forte di me) del resto la presenza del mio alter ego, il Giullar Cortese dalle rime sempre accese, lo testimonia.  Degno,  a volte indegno, ma comunque d’ingegno, porta sempre un segno che proviene dal regno della parola, dal rito che giunge quasi a sfiorare il mito che si genera da ogni discorso, sia esso in prosa o in rima, cantato o incantato.
Non sarò solo su quel suolo, mi accompagneranno altri artisti ( sarò li anche in veste di consulente artistico) con i quali spesso condividiamo questa passione, ma che da ormai venti anni è diventata una professione.  Lo professo da sempre, la Passione può trasformarsi in Professione, ma la professione deve comunque mantenere i nobili caratteri della passione ed ecco che l’arte ci guadagna, ma se non ci guadagna anche l’artista allora l’arte va da un altra parte e diventa passione nel senso etimologico patire, e  come dice il proverbio: Patire è un po’ morire 🙂 Non dice esattamente così, ma il demone dei calembour continua ad impossessarsi di me.

Voi però fate un po’ come quando Virgilio disse a Dante: “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”. Voi allora non vi curate dei mie giochi di parole, ma guardate e passate…Passate quindi a Solomeo da Venerdì 22 fino a Domenica 31. Saranno dieci giorni di spettacoli, rievocazioni, mercati, buon mangiare e bere, di divertimento ed altre suggestioni da vivere in uno dei borghi più incantevoli dell’Umbria e oso dire dell’Italia. Tutto contornato dall’aura e sotto l’egida di due sognatori, Federica e Brunello ( ai quali ora si aggiungono le loro figlie), che con occhio attento e appassionato continuano a realizzare il loro di sogno: dare dignità all’Uomo, sia come artefice di se stesso attraverso il lavoro, sia come semplice vivente e custode di quello che i padri gli hanno lasciato. Loro non sono soli, ma saranno supportati dal cuore della Società Filarmonica di Solomeo che dà le gambe e le braccia a questa Utopia concreta. 

Gianluca Foresi